Se si comincia dalla fine, evviva: 3-1 in trasferta, quinta vittoria di fila, Europei in tasca. Se si parte dall’inizio, viceversa, abbasso: quel quarto d’ora da brividi, metà ripresa in salita nonostante l’uomo in più (fiscale, molto fiscale, il secondo giallo a Karapetyan, il migliore degli armeni: e non solo per il gol). Poi sono scoppiati Hovhannisyan e Mikhitaryan, è entrato Lorenzo Pellegrini e l’Italia ha vinto facile.
D’accordo, loro erano atleticamente più avanti di noi, ma noi siamo 16i. nella classifica Fifa e loro 98i. Mancini non è un ispettore di polizia e, dunque, ha preso per buono il risultato «reo confesso». Già con la Bosnia, a Torino, la Nazionale aveva rimontato: con ben’altra allure, però. Venendo al sodo.
Bonucci. E’ un «libero» che il calcio moderno costringe a urgenze da stopper. I confini vanno dalla chiusura non proprio feroce su Karapetyan, al culmine del contropiede che ha spaccato l’equilibrio, al lancio con il quale ha armato la crapa di Pellegrini. Romagnoli gli ha dato la mano che poteva. Non mi meraviglio che Bonucci piaccia più all’estero che in patria: all’estero si privilegia il pennello, da noi lo scalpello. Nacque centrocampista. Senza Chiellini, molti sembrano più vulnerabili, non solo lui.
Belotti: un gol e mezzo, più un altro annullato per un fuorigioco che non c’era. E’ tornato. Nessun dubbio che sia un centravanti di lotta e di governo: ma di che livello? Al Gallo l’ardua sentenza. Nelle speranza che la concorrenza di Immobile stimoli entrambi.
Chiesa. E’ rimasto a Firenze, l’importante è che non si senta prigioniero. Sostituito, deve ritrovare la porta. L’alta velocità esalta e trascina, a patto che si «arrivi» in orario.
Bernardeschi. Ha scheggiato una traversa, ma siamo sempre lì: talmente eclettico, a volte, da scadere nel generico.